Il progetto Scarabeo, è legato strettamente al programma che sotto la sigla 105.33 ha intrapreso la lunga via del ritorno del marchio Alfa Romeo alle competizioni di alto livello. Questa parentesi basata sul progetto di Giuseppe Busso ed il supporto di Orazio Satta Puliga, ha lasciato due vetture assemblate e un prototipo servito come laboratorio, ma anche innumerevoli domande sul come e perché di certe scelte.
Solo apparentemente, la breve sequenza nota sotto il nome Alfa Romeo Giulia 1600 Scarabeo, rimane relegata nel settore esperimentale, all’epoca non raro nell’ambito delle attività del Servizio Esperienze Speciali. Questa vettura che nasce in parallelo con la 33/2 prototipo da corsa, con la quale condivide la soluzione del telaio voluto da Busso, racchiude la parte del mistero della nascita del mito 33. Il risultato finale è ben descritto per quanto riguarda i due prototipi prodotti in collaborazione con Officine Stampaggi Industriali (OSI) nell’hinterland industriale di Torino.
Le due coupé “vestite” dalla mano fortunata di Sergio Sartorelli, sono rimaste a testimoniare un prospero periodo del design industriale italiano, però, la vettura, che ha dato il vero impulso allo sviluppo del progetto, il primo prototipo, è rimasto presso che sconosciuto e giace tutt’oggi coperto dal telone rosso nei sotterranei del Museo di Arese, noto solo agli addetti con il nome "Barchetta" Scarabeo.
OSI Alfa Romeo Scarabeo prima versione 1966 OSI Alfa Romeo Scarabeo seconda versione 1967
Alfa Romeo 1600 Scarabeo version "Barchetta".
Per la verità, non esiste nessuna documentazione che potrebbe confermare la nascita di questa vettura nell’ambito delle Officine Stampaggi Industriali di Torino. Nei pochi documenti sopravvissuti dall’avventura OSI, non è rimasta nessuna tracia dell’esistenza di questa vettura, e neanche Sergio Sartorelli abbia mai parlato di un terzo prototipo.
Questo fatto ha dato lo spazio alla tesi che vedeva questa vettura come estensione sperimentale del primo prototipo 105.33 nato al Servizio Esperienze Speciali, quello malvolentieri ceduto all’Autodelta di Chiti su richiesta di Luraghi.
La tesi si basava sul fatto che la vettura in questione sia molto più un laboratorio dinamico di ricerca, che la base per una proposta produttiva, ma anche sul fatto che è unica fra le tre esistenti, allestita sul telaio in Peraluman, prodotto dall’Aeronautica Sicula (fornitore ufficiale dei telai per le vetture da corsa basate sul progetto 105.33), e comune con la 33/2.
La mancanza del rivestimento in lega di alluminio che accompagnava la vettura originale nata al Servizio Esperienze e consegnata a Ing. Chiti agi inizi del ’66, per alcuni indicava che la vettura originale è andata persa senza tracie, ma per gli altri era solo la conferma che sul primo telaio Ing. Chiti ha provato diverse soluzioni per la futura 33 da corsa, e che il telaio ripreso dal Servizio Esperienze Speciali, è stato usato come banco di prova anche per lo Scarabeo.
Si nota subito che la forma della "Barchetta" sia identica a quella della seconda versione fatta da OSI, ma priva del tetto, e questa strana ipotesi non è mai stata né confermata né smentita da nessuna fonte autorevole. Dalle poche fotografie sopravvissute è visibile anche la presenza delle condutture dell’aria disposte in modo identico sulla prima variante documentata della T33, equipaggiata con il motore della TZ, e il prototipo del Museo Storico Alfa Romeo.
Coupé OSI Scarabeo seconda versione e la "Barchetta" Scarabeo del Museo Storico ad Arese.
Sinceramente, sarebbe poco ragionevole supporre che in presenza di numerosi telai prodotti (50) e consegnati all’Autodelta dall’Aeronautica Sicula di Palermo, Ing. Chiti avrebbe intrapreso complesso lavoro di cambiamento della posizione del propulsore ed il sistema di trasmissione, sul precedente telaio già esposto alle estenuanti prove dinamiche, con indubbie conseguenze per la stabilità della struttura.
Con abbondante quantità dei telai a disposizione, era molto più probabile l’uso del pianale nuovo per la vettura nuova. Sarebbe difficile spiegare anche la presenza di questa vettura quasi in parallelo nell’ambito Osi, mentre si lavorava in contemporanea sulla versione 33/2 da corsa.
Dall’altra parte, non si spiega neanche l’esistenza di un prototipo con chiari segni dei test continui, rimasto incompiuto e senza un seguito. Rimane certo anche, per chiunque che abbia fatto le ricerche sulla storia dello Scarabeo, che tutto il progetto per questa vettura sportiva ma destinata ad uso stradale, è stato solo un premio di consolazione per Ing. Busso e Servizio Esperienze Speciali, il magro compenso per la squadra rimasta privata dello sviluppo ulteriore del prototipo da loro realizzato ma poi passato di forza all’Autodelta.
Era chiaro che la possibilità di arrivare alla produzione di una serie limitata della vettura già di per sé costosa visto l’uso abbondante dei materiali “esotici”, rimaneva la possibilità remota. La domanda puramente accademica, quale fra le due, Scarabeo o 33/2 fu prima vettura concepita, è priva di senso. Non c’è un nesso fra le due vetture, se non avveniristica cella centrale del telaio progettata da Ing. Busso. Sono due concetti distinti e distanti.
Mentre Scarabeo nasce come la vettura con posizione del pilota arretrata, dove solo per convenienza costruttiva il motore compatto e posto trasversalmente, viene posizionato dietro i sedili, sul prototipo destinato all’agonismo, Ing. Chiti cerca la più possibile centrale posizione del propulsore, spostando in avanti conducente della vettura.
Anche le geometrie sono radicalmente diverse, e destinate ai compiti specifici; uso stradale per la vettura di Ing. Busso e uso nelle competizioni per quella di Ing. Chiti. Sul prototipo 33/2 sono stati scritti numerosi libri e ci sono pochi segreti da svelare. La "Barchetta" Scarabeo nascosta nella tana sotterranea ad Arese è certamente meno conosciuta, ma con la sua originale costruzione, non meno intrigante.
Per le due vetture assemblate all’OSI, non sono rimasti documenti o dati sulle prove dinamiche eseguite, ed e certo che si tratta dei due telai senza numero, dotati dei propulsori sperimentali, anch’essi non numerati. Invece per la "Barchetta", non esiste nessun dato o indicazione della forma della carrozzeria definitiva o conosciuta.
Il concetto, nato dalla tesi di Consalvo Senesi che mirava ad una vettura con il passo contenuto dove la posizione arretrata del pilota presentava l’opportunità di un controllo migliore, e ben visibile sul primo prototipo assemblato e presentato al Salone dell’Automobile di Parigi nel 1966.
Courtesy of the Alfa Romeo Museo Storico
OSI Alfa Romeo Scarabeo prima versione 1966.
Per la verità, la "Barchetta" archetta non rientra in questa logica ed ha mantenuto il design molto più vicino ad una vettura da corsa. Legarla ai due prototipi completati, non è facile. Il suo telaio progettato da Ing. Busso non nascondeva la chiara ispirazione aeronautica, e sono state due strutture ausiliari separate ad ospitare il propulsore con la frizione ed il cambio incorporati nel blocco motore e differenziale, oltre a sospensioni e i freni a disco posteriori montati in posizione centrale, mentre il telaietto anteriore conteneva oltre a sospensioni anche la scatola guida, ed i freni a disco in posizione più classica, vicina alle ruote.
Sull’avantreno le componenti erano di provenienza dalla Renault 8, fatto spiegabile con rapporti di collaborazione fra le due fabbriche all’epoca. La soluzione proposta di Ing. Busso di incorporare nella cella centrale anche il serbatoio del carburante, mantenendo così invariato bilanciamento indipendentemente dalla quantità del carburante imbarcata, era un’intuizione buona, condivisa anche da Ing. Chiti che l’ha adottata anche sul progetto della 33/2 prevista per l’agonismo.
Per la verità, la barchetta non rientra in questa logica ed ha mantenuto il design molto più vicino ad una vettura da corsa.
Legarla ai due prototipi completati, non è facile. Il suo telaio progettato da Ing. Busso non nascondeva la chiara ispirazione aeronautica, e sono state due strutture ausiliari separate ad ospitare il propulsore con la frizione ed il cambio incorporati nel blocco motore e differenziale, oltre a sospensioni e i freni a disco posteriori montati in posizione centrale, mentre il telaietto anteriore conteneva oltre a sospensioni anche la scatola guida, ed i freni a disco in posizione più classica, vicina alle ruote. Sull’avantreno le componenti erano di provenienza dalla Renault 8, fatto spiegabile con rapporti di collaborazione fra le due fabbriche all’epoca.
La soluzione proposta di Ing. Busso di incorporare nella cella centrale anche il serbatoio del carburante, mantenendo così invariato bilanciamento indipendentemente dalla quantità del carburante imbarcata, era un’intuizione buona, condivisa anche da Ing. Chiti che l’ha adottata anche sul progetto della 33/2 prevista per l’agonismo.
Gruppo motore-cambio posto trasversalmente sulla "Barchetta".
Prima di dare avvio ad un’analisi tuttavia occorre sottolineare alcune specifiche differenze fra le tre vetture in questione. Mentre le coupé realizzate dall’OSI, prima nel 1966 e la seconda già menzionata nei primi mesi del 1967, sono le vetture sviluppate sui telai senza numero fatti in lamiera d’acciaio, la barchetta allestita sul telaio in Peraluman 23 di spessore 2,5 mm, identico a quello usato per le vetture da corsa, e segnata nell’archivio dell’Alfa con il numero del telaio (senza le lettere AR iniziali) 00002, e il motore N° DJ*001.
Già questa distinzione la mette in una luce diversa rispetto alle altre due unità prodotte, ma è anche la disposizione degli organi meccanici e differente forma dei telaietti anteriore e posteriore delle versioni coupé, che indica una vettura del design significativamente diverso.
Telaio dello OSI Scarabeo in acciaio (sopra) e della "Barchetta" in Peraluman 23 (sotto)
Confronto con la fotografia della prima vettura prototipo in occasione della consegna del progetto ad Autodelta, e poi anche con la foto del primo prototipo della 33/2 in fase di sviluppo, rivela molte similitudini anche nei dettagli costruttivi. Non esistono però, riscontri o documenti riguardo la questione. La barchetta è stata equipaggiata con il motore 1600 GTA senza precisazione dello stadio di preparazione ma a vista sembra si tratti di un propulsore previsto per la versione Stradale di 115 CV posto trasversalmente, mentre il prototipo del Servizio Esperienze era fornito con il propulsore usato per la TZ e TZ2 in posizione tradizionale, cioè longitudinalmente.
Il prototipo della 33/2 poi, era già munito con il 2000 cc V8 e sempre in posizione longitudinale. Comunque, una certa somiglianza e sicura parentela fra le tre vetture è indiscutibile. Anche il peso complessivo che era in ordine di marcia ca. 700 kg, era simile per tutte le tre vetture.
Il prototipo 105.33 realizzato dal Servizio Esperienze Speciali 1966
La "Barchetta" Alfa Romeo Scarabeo 1600 del Museo Storico di Arese.
Primo prototipo della 33/2 realizzato dall’Autodelta con motore V8, 1966
Le due coupé sono dello stesso design meccanico e cambia solo la carrozzeria e la posizione del pilota, a destra sulla prima versione, e “europea” a sinistra per la seconda.
Scarabeo Alfa Romeo 1600 I° versione disegnata da Sergio Sartorelli.
Scarabeo Alfa Romeo 1600 II verson disegnata da Sergio Sartorelli 1967.
Sulla prima vettura, un riuscito e quasi estremo design non prevedeva neanche le porte, e ai sedili si accedeva sollevando tutto il padiglione, che alla vettura dava sembianze di un coleottero, e che fu certamente la fonte del suo nome.
Per dare un po’ più di confort di guida, fu scelta la posizione del volante a destra visto che a sinistra a pochi centimetri del sedile c’erano sistemati tromboncini d’aspirazione, cui sibilo era difficilmente tollerabile.
Apertura dell’abitacolo dello Scarabeo Alfa Romeo I° versione.
Sul secondo prototipo un po’ di isolazione acustica risolveva in parte il problema del rumore d’aspirazione. Si era ritornato alla soluzione più classica per quanto riguardava l’accesso ed anche le porte sono tornate. Pure il muso, meno prolungato e meno aggressivo parlava in favore di una vettura più consona ai suoi tempi.
OSI Scarabeo II° versione disegnata di Sartorelli nel 1967.
Si sottolineava spesso che tutte le tre vetture avevano soluzioni tecniche diverse e specifiche per ognun esemplare. Questo non è vero, o è vero solo in parte.
La geometria delle due coupé è identica, come è identica anche la distribuzione delle masse e la distanza del cockpit dalle assi. Cambiava solo la posizione del conducente, a desta o a sinistra.
La "Barchetta" invece, avendo il telaio diverso, era specifica, con piccole ma significative differenze costruttive. Fra l’altro, numerosi prestiti dalla Renault 8, presenti nelle coupé non erano il caso della barchetta che rimaneva la costruzione unica anche al livello delle sospensioni.
Poi, interni delle coupé, belli e non privi del confort di una macchina sportiva di lusso erano del tutto assenti sulla barchetta dove la nuda lamiera indicava la scelta spartana delle vetture da competizione.
Interni dello Scarabeo I° versione esposta a Parigi nel 1966.
Interni Scarabeo "Barchetta".
Teo Zeccoli, che ha avuto sicuramente l’occasione di vedere (forse anche da provare, nonostante che erano più probabilmente Bonini e altri collaudatori del Servizio Esperienze, incaricati per le prove) la barchetta sulla pista di Balocco, la ricordava come “scattante e performante”.
Con la rinuncia della fabbrica a procedere con il piano produttivo, allo Scarabeo il destino era segnato.
Busso non si era mai soffermato in modo particolare sul progetto Scarabeo. Quasi che avesse fin da subito la certezza che la sua creazione non sarebbe arrivato in nessun porto, manteneva un certo distacco, e signorile e schivo com’era, non ha mai commentato questa parentesi chiusa prematuramente.
OSI, immersa nella propria crisi interna ed in procinto del passaggio nell’ambito FIAT, non dimostrò nessun interesse per cercare altre soluzioni, ed anche Sartorelli, dal terzo telaio in acciaio, fece una bella vettura GT con la meccanica ATS 2500, che rimase anch’essa solo un valido esercizio di stile.
La Alfa Romeo Scarabeo 1600 era uscita di scena. Il primo prototipo dopo la sua apparizione al Salone dell’Automobile di Parigi nel 1966, dove fu accolto con molto favore, fu venduto dall’OSI ad entusiasta tedesco Helmut Limmer che poi vendette la vettura a noto fotografo americano Ernie Paniccioli.
OSI Scarabeo 1600 versione I esposta al Salone dell’Automobile a Parigi 1966.
La macchina subì un maldestro tentativo di cambio del propulsore in USA, ed il risultato fu un danno permanente al telaio. Dello Scarabeo non si seppe più nulla fino al 1988, quando quello che era rimasto ancora della macchina fu comprato dal noto collezionista Said Marouf e trasferito a Laguna Seca in California per aspettare senza motore i tempi migliori. Ultimamente girano le voci che stesse per ritornare di nuovo in Europa per essere rimessa in vita dai noti restauratori olandesi.
OSI Scarabeo I° versione pronta per il restauro in Olanda.
Il secondo prototipo, ebbe la vita meno movimentata. Era rimasto sempre di proprietà del Museo Storico Alfa Romeo, come ricordo di tanti tentativi del marchio di creare le vetture che fecero sognare ed innamorare i fan di tutto il pianeta. Recentemente e stata portata ad una mostra importante in Francia.
La "Barchetta", un po’ dimenticata e sempre rimasta nei sotterranei del Museo, insieme a tanti altri incompiuti esemplari nati nell’ambito delle ricerche Alfa Romeo. La sua forma mai compiuta in modo definitivo e la sua chiara natura corsaiola hanno da sempre attirato l’attenzione dei ricercatori dei misteri del marchio del Biscione, e sulla sua nascita e lo sviluppo sono state raccontate tante, diverse storie.
Rimane il fatto che la fiaba dello Scarabeo non ha mai perso nulla dal suo fascino originario e che tutt’oggi fa parte della memoria collettiva che dal marchio Alfa Romeo ha fatto un culto planetario.
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